Drammaturgo norvegese. Fin da giovane si manifestò in lui il carattere
solitario e ombroso che lo accompagnò per tutta la vita. La passione per
il teatro lo spinse ad interrompere gli studi di medicina che aveva intrapreso.
Dal 1851 al 1857 ebbe la residenza a Bergen, dove ottenne la nomina a direttore
del Nathionaltheater. Successivamente si trasferì a Cristiania, dirigendo
fino al 1862 il Norske Theater. Nel 1863 lasciò la Norvegia e visse in
Danimarca, in Austria, quindi in Italia (Roma, Amalfi, Ischia) e in Germania.
Infine nel 1900, colpito da paralisi, ritornò a Cristiania, rimanendovi
fino alla morte.
I. fu interprete fondamentale dei turbamenti morali
dell'epoca moderna e seppe preoccupandosi di individuare, denunciare e risolvere
le contraddizioni e i mali della società. Si possono distinguere due
periodi diversi nella sua produzione: le prime opere contengono una violenta
accusa contro le ingiustizie della società e soprattutto contro il
torpore passivo dell'uomo, incapace di agire per sanare le proprie ferite; sono
delle vere e proprie requisitorie morali, tracciate con straordinaria forza
espressiva e verbale. Nelle opere del secondo periodo si assiste a una lenta e
approfondita meditazione su quello che è veramente l'intimo dell'animo
umano. Si può quindi parlare di una fase rivoluzionaria o sociale e di
una fase lirico-filosofica o spirituale. L'opera di
I. si presta ad una
analisi più che mai attuale, riducibile al rapporto
giovinezza-maturità o, più profondamente, al conflitto
individuo-società che travaglia la nostra epoca.
I. esordì
nel 1848 con il dramma
Catilina, una rielaborazione in chiave
schilleriana della narrazione della congiura che ci è giunta dallo
storico latino Sallustio. Nel 1850 scrisse
Il tumulo del guerriero, con
il quale diede inizio alle opere teatrali riguardanti il passato della
Scandinavia. Seguirono
Donna Inger di Olstraat (1855),
Una festa a
Solhaug (1856),
Olaf Liljekrans (1857) e
I condottieri a
Helgeland (1858) nei quali all'impostazione romantica subentrò una
maggiore precisione storica e psicologica. Con
La commedia dell'amore
(1862) e
I pretendenti al trono (1863),
I. rivelò una nuova
forza riuscendo nella prima opera a modulare un sottile discorso satirico, nella
seconda a raggiungere un respiro epico con implicazioni morali che nelle opere
successive sarebbero state approfondite. Chiuso nel 1863 il teatro di Bergen,
I. si recò in Italia. Durante il viaggio ebbe modo di constatare
le conseguenze della guerra condotta da Bismarck contro i Danesi. Questa
riflessione lo gettò in un cupo pessimismo: sfiduciato nei confronti di
ogni soluzione politica,
I. si chiuse in un profondo individualismo. Sono
di questo periodo
Brand (1866),
Cesare e Galileo (1864-73), un
quadro della decadenza della civiltà classica e del trapasso dal mondo
romano a quello cristiano e
Peer Gynt (1867), una sorta di saga
dell'animo popolare norvegese. Il mancato successo dei tre drammi gettò
l'autore in una crisi che lo portò alla critica corrosiva del reale e del
quotidiano, e successivamente alla critica delle illusioni e delle ideologie.
Dopo un viaggio in Egitto,
I. si dedicò prima alla sistemazione
delle suo opere (nel 1871 raccolse nel volume
Poesia tutti i suoi versi,
rinunciando in seguito quasi del tutto ad esprimersi in questa forma) e alla
elaborazione del nuovo corso della sua drammaturgia. Dopo un opera di trapasso -
La lega della giovinezza (1869) - in cui, tramite una rappresentazione
caricaturale della vita dei giovani, si procede ad una denuncia spietata e
polemica di ogni forma di ipocrisia, il nuovo
I. emerse prima in
Le
colonne della società (1877) e quindi in
Casa di bambola
(1879). Seguì una serie di capolavori:
Spettri (1881), sul tema
della ereditarietà, per cui i fantasmi del passato giungono con forza al
nostro presente, come monito e stimolo per l'avvenire; il dramma
Un nemico
del popolo (1882), in cui troviamo uniti due temi molto cari all'autore, la
solitudine e la lotta;
L'anitra selvatica (1884), in cui è
rappresentata una famiglia che si macera in un'esistenza grigia, senza che
nessuna luce sembri ravvivare i personaggi; nessun evento è atteso, ogni
sentimento appare rinchiuso nelle singole anime: simbolo ed elemento
chiarificatore del dramma è un'anitra imbalsamata che viene custodita in
soffitta e che, un tempo splendido esemplare di una natura viva, è ora
soffocata tra quattro pareti ammuffite e mostra solo le piume inanimate, il suo
lato esteriore, mentre il grido di libertà è ormai svanito. Da
questo momento le opere di
I. riflettono tutte questa situazione
dell'animo, approfondendo la contemplazione delle inquietudini umane. Nel 1886
scrisse
I cavalli bianchi, cui fecero seguito
La donna del mare
(1888) e
Hedda Gabler (1890). Inoltrandosi sempre più nell'intimo
labirinto delle cose, l'autore sfociò nell'elegia con
Il costruttore
Solness (1892),
Il piccolo Eyolf (1894),
John Gabriel Borkman
(1896) e infine
Quando noi morti ci destiamo (1899) che al tramonto
dell'Ottocento sembrava ben definire le ipocrisie di una società
assurdamente trionfalistica (Skien 1828 - Cristiania, od. Oslo 1906).